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Prospettive apocalittiche

La questione rivoluzionaria è una linea di frattura più o meno netta in seno al movimento anarchico internazionale, in certi luoghi più che altrove.

Da un lato LA rivoluzione, miraggio di un’oasi lontana, per la quale noi avremo il tempo di crepare più volte di sete nel deserto, prima di vederne una qualsiasi realizzazione materiale. Questa visione della rivoluzione è da considerarsi come evento da attendere tranquillamente, dato che in ogni modo non dipende dalle nostre azioni, ma da un risveglio delle masse. Per i rivoluzionari di questo tipo le condizioni non sono mai veramente coincidenti per la rivoluzione, ed ogni tipo di offensiva che non sia “di massa” sarà il prodotto di un’impazienza prematura e avanguardista che si sostituirebbe alla parola e agli atti dei veri soggetti rivoluzionari, che non sarebbero i rivoluzionari…

Dall’altro lato, l’anti-rivoluzionario, che fustiga i rivoluzionari con l’accusa di non far altro che attendere, temporizzando la rivolta, impedendo a coloro che desiderano vivere l’anarchia qui e adesso, di farlo. Di fatto la rivoluzione, come avvenimento concreto sarebbe una sorta di miracolo che viene auspicata ma che non arriva mai, un paradiso lontano.

Sfortunatamente, dato che l’epoca lo esige, di prospettive apocalittiche, cioè millenariste, se ne sono sviluppate a destra e a manca, e contrariamente a questo passato lontano, si ritrovano non solo in ambienti mistici, cospirazionisti o in seno a fanatismi religiosi. Siamo arrivati ad un punto dove la questione della “fine del mondo” ossessiona le discussioni in maniera più o meno seria. La fine del mondo per il 2012, il giudizio finale, il ritorno del messia, il terzo occhio e altri discorsi mistico-religiosi si disputano il podio escatologico con la prospettiva terrificante di un olocausto nucleare o di una guerra mondiale o civile totale. Ma da qualche parte sul podio, circola l’idea di un sistema che crollerebbe da solo sotto il peso dei suoi abusi. Il crollo ineluttabile del capitalismo dei marxisti rivisitati al limite del ventunesimo secolo e delle sue “crisi” economiche, sociali ed ecologiche. Un crollo ipotetico accolto sia con speranza che con timore. Certo, quest’ipotesi mi pare ben poco seria, il capitalismo attraverso la sua storia avanza di crisi in crisi, sempre rinforzato di ristrutturazione in ristrutturazione.

Questa visione della rivoluzione che si metterebbe in moto tutta da sola, senza di noi, senza di me e in qualche maniera sotto l’impulso o spinta del vecchio mondo che si autodistrugge, non offrirebbe come prospettiva immediata che l’attesa. Mettere ogni nostro desiderio in un futuro inevitabile permette più facilmente di accettare l’esistente. La credenza di Marx nell’ineluttabilità del comunismo lo spinge, lui e i suoi discepoli, a proporre l’industrializzazione e lo sfruttamento capitalista come delle tappe necessarie al suo avvento, l’ideologia dell’ineluttabile crollo finisce forzatamente per giustificare da una parte una prassi basata unicamente su “autodifesa sociale” per rispondere al nemico e dall’altra l’evasione da questa realtà che incontriamo quotidianamente, molto concretamente.

Ben inteso, questa visione di un vecchio mondo che crollerebbe sotto il proprio peso, rende obsoleta la necessità insurrezionale, non lasciando spazio che per un attesa, un porsi sulla difensiva. L’”autodifesa sociale” (squat, modi di vita alternativi, comunità, sopravvivenza…) termine alla moda, ci darà tutta la sua forza, la miseria dell’ecologismo con la preservazione reazionaria del “pianeta” ci farà tornare ad uno stato precedente (ma quale?); o ancora potremo consacrarci alla difesa delle “popolazioni indigene”, o all’antirepressione condizionati unicamente dal nemico, ecc.

Poiché in ogni modo, non c’è bisogno di attaccare le strutture dello Stato, del capitalismo e dei meccanismi di dominazione che reggono i rapporti umani, dato che questi sono votati al crollo, come per magia.

In fondo i dibattiti estremamente puntigliosi che consegnano i partigiani dell’ineluttabile crollo del sistema non mi interessano veramente, che siano essi “comunitaristi” o anarchici. Ciò vuol dire che qualsiasi sia la conclusione, la mia visione delle cose non ne risulterà in niente alterata. Se il capitalismo dovesse realmente crollare tutto solo, questo non cambierebbe per niente il fatto che io non desidero attendere in alcun modo questo evento pazientemente, continuando a vivere questa miserabile vita di mediocrità che mi si offre di già nell’attesa.

Io sono un anarchico, un rivoluzionario, non credo pertanto che LA rivoluzione avrà luogo, ne oggi ne domani. Ciò nonostante io tendo verso la rivoluzione, cioè i miei pensieri e i miei atti sono orientati verso un sovvertimento totale di questo mondo, e verso una rottura completa col vecchio mondo. È in ciò che io sono rivoluzionario, non per opportunismo, non c’è niente di peggio, secondo me, di coloro che si dicono rivoluzionari per il solo fatto di essere animati dalla convinzione che la rivoluzione, come avvenimento concreto avverrà durante la loro vita. No, essere rivoluzionario vuol dire portare nella propria attività concreta e nella propria produzione teorica i germi di un altro mondo, così com’è vero che sono indissociabili i mezzi e i fini per arrivarvici.

È innegabile che la vita che viviamo, così come lo stato del mondo sono oggi delle cose terrificanti. Infatti, mi pare quasi inimmaginabile, nelle condizioni nelle quali si trova l’umanità oggi, immaginare un sovvertimento radicale che porterebbe alla fine di ogni autorità. Si può perfino affermare che la prospettiva di un’insurrezione generalizzata oggi, porti in se tanta speranza quanta angoscia. In questo mondo dove si stravolgono le ideologie rancide come il razzismo, i meccanismi identitari e comunitaristi, la sete di potenza, l’avidità, il consumismo, la concorrenza economica o sociale o ancora il sessismo, un’insurrezione darebbe certamente luogo, in più a ciò al quale noi potremmo riconoscere e partecipare, a una grande quantità di eventi tragici e insopportabili.

Detto ciò, mi pare ancora più incongruente e lontano parlare di una rivoluzione anarchica.

Bisognerebbe quindi immaginarsi una rivoluzione di milioni e milioni di anarchici, in una qualche maniera il vecchio sogno degli anarchici aderenti alla C.N.T. che, se è rispettabile come sogno, non è vero dire che una chimera funge da pretesto all’inerzia e all’attesa. Se la rivoluzione o l’insurrezione c’è, gli anarchici non resteranno semplici spettatori. Portare ogni cosa verso la critica dell’autorità in generale, tentare di respingere finché possibile ogni cattivo riflesso appartenente a questo mondo, senza per questo avere il ruolo di poliziotto, ma anche farsi piacere e seguire i desideri di vendetta accumulati, colpo su colpo, tanto contro lo Stato e l’economia che contro la società.

Essere rivoluzionario secondo me, è dunque essere animato, da una tensione verso un’altra cosa. Una tensione che si materializza qui e ora, tutti i giorni, nel più piccolo atto di guerra.

È un imbrago progettuale nel quale ogni atto, anche insignificante, che porta il rivoluzionario, sommato all’identificazione di questo mondo come un ostacolo al progetto rivoluzionario. È anche in un certo qual modo una responsabilità, perché mettersi in gioco nella lotta mi sembra inevitabile. Dichiararsi apertamente rivoluzionario comporta una quantità di rischi e di pericoli. Non bisogna attendere, dato che ci dichiariamo in conflitto con la società, che questa, attraverso lo Stato o meno, cerchi di vendicarsi a sua volta contro di noi. Nella vita le cose sono ben più fini che un tale schema semplicistico.

Questo mondo, lontano dall’autodistruggersi, dovrà dunque essere distrutto, questa è l’opera del rivoluzionario, non potrà essere evitata. Come disse qualcuno, se la questione non è di «fare la rivoluzione» questa diviene «come evitarla?».

 

Un altro rivoluzionario senza rivoluzione

Category: italiano

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